giovedì 25 novembre 2010

Quale cultura

La cultura è un patrimonio intellettuale e materiale costituito dai seguenti fattori:
a. Valori, norme, definizioni, linguaggi, simboli, modelli di comportamento, tecniche mentali e corporee con funzioni cognitive, affettive, valutative, espressive, regolative, manipolative.
b. Oggettivazioni, supporti, veicoli materiali o corporei degli stessi.
c. Mezzi materiali per la produzione e riproduzione sociale dell’uomo. L’uomo come prodotto sviluppatosi attraverso il lavoro e l’interazione sociale, trasmesso ed ereditato per la maggior parte dalle generazioni passate e da altre società. Il patrimonio culturale è prodotto solo da una piccola parte dalle generazioni viventi.

Questo tipo di concetto della cultura rappresenta un livello di interdipendenza tra la realtà sociale e la personalità dei soggetti.
Ci sono state fin dall’antichità numerosi definizioni della cultura a dimostrazione dell’importanza che viene data al concetto di cultura.
In molte definizioni possiamo identificare dimensioni che rendono per certi versi simili la stessa definizione, per altri del tutto diversi.

E’ opportuno tracciare le coordinate dello spazio concettuale all’interno del quale si situano le definizioni della cultura. Ogni coordinata corrisponde ad una dimensione di tale spazio, una variabile con due poli opposti e numerose modalità intermedie.

Dimensione: Oggettiva/Soggettiva
Concezioni della cultura più vicino alla soggettività:
- La cultura è prevalentemente una proprietà interiore dell’individuo. E’ qualcosa che caratterizza la sua personalità.
- La cultura è un senso di crescita dell’uomo. E’ l’acquisizione e lo sviluppo graduale di facoltà più elevate tramite l’educazione, la filosofia, le arti.

Questi tipi di concezioni della cultura li troviamo tra gli antichi greci, i romani, gli scrittori italiani del rinascimento.

Concezioni più moderne della cultura:
- La dimensione soggettiva perde la connotazione progressivo - valutativa; la cultura e la personalità sono due aspetti del medesimo processo.

Concezioni dove la modalità soggettiva della cultura è in contrapposizione a quella oggettiva:
Diversità della cultura soggettiva
Per W. Sombart la modalità soggettiva è costituita dalla cultura personale, cioè dalla utilizzazione e rielaborazione di prodotti della cultura oggettiva la cui durata supera la vita dell’individuo. Questo tipo di concezione della cultura come modalità soggettiva dell’individuo è congruente con definizioni della cultura come prodotto collettivo che si manifesta in artefatti, istituzioni, preesistenza, esteriorità, autonomia e costrizione della cultura sul soggetto individuale.

Concezioni "oggettive" della cultura:
- Pensiero tedesco: Hegel, Marx, Spranger e Freyer.
- Etnologia tedesca: Klemn, Wundt, Thurnwald.
- Antropologia inglese: Tylor
- Socio-etnologia francese: Durkheim

Un asse di interpretazione del concetto di cultura possiamo individuarlo tra l’aspetto EVOLUTIVO e quello CICLICO dei fenomeni culturali. Un altro asse invece è quello tra concezioni della cultura che accentuano le componenti PROGRESSIVE della cultura e quello che le negano attraverso l’EQUIVALENZA QUALITATIVA fra tutte le culture.
Sono numerose anche le definizioni della cultura che accolgono l’equazione “EVOLUZIONE = PROGRESSO” della seconda metà dell’Ottocento.

Progressiva ma non evolutiva
A. Comte ritiene inarrestabile e irreversibile il cammino dell’umanità dallo stadio inferiore della Cultura Teologica a quello intermedio della Cultura Metafisica, per giungere allo stadio superiore della Cultura Positiva e Scientifica.

Evolutiva ma non propriamente progressiva
H. Spencer analizza in dettaglio i fenomeni di DIFFERENZIAZIONE strutturale e funzionale delle ISTITUZIONI quali organi del CORPO SOCIALE.

Cauto accento evolutivo
Nessuna cultura, sia che appartenga ad una società “complessa” che “primitiva”, può essere considerata come uno stadio più avanzato di progresso rispetto a qualsiasi altra. E’ il rigetto dell’idea di CIVILTA’. E’ la reazione alle concezioni evoluzionistiche che ponevano le Culture Occidentali all’apice di una scala dove le Culture indigene dell’Asia o dell’Oceania o dell’Americhe erano al gradino più basso.

Cultura come gruppi di elementi
Concezioni che individuano nella Cultura solamente un gruppo ristretto di CONFIGURAZIONI o TIPI dei suoi principali elementi: il COSTUME, la FILOSOFIA, l’ETICA, l’ARTE, la RELIGIONE, il DIRITTO, etc. Questi elementi in determinate epoche si affermano e poi scompaiono, in altre epoche si ripresentano in un’alternanza infinita anche senza una costanza di contenuti.
Gli esponenti della concezione CICLICA della Cultura sono Giambattista Vico a cavallo tra il Seicento e il Settecento ed alcuni moderni tra cui troviamo P. A. Sorokin che individua tre sole forme che tutti i sitemi culturali possono assumere in una perenne fluttuanza improntati su principi ontologici: SENSISTA, IDEALISTICO, IDEAZIONALE. Sorokin sostiene l’ORGANICITA’ o TOTALITA’ ORGANICA della cultura: ogni sistema culturale ascende verso una forma di integrazione fra tutte le componenti; raggiunge per un breve periodo un’armonia interna; poi il sistema decade verso uno stato di disintegrazione e di “morte”.

La constatazione che l’elaborazione artistica, religiosa, letteraria, rituale ha pari dignità in tutte le società ed è impossibile definirne una gerarchia, cosa invece possibile per l’elaborazione scientifica, tecnica e organizzativa, ha condotto a dividere in due classi i prodotti del lavoro e dell’interazione umana.
In una prima classe abbiamo quelli che non poniamo ordinabili in una scala di qualità e progresso e che si manifestano in una determinata società dopo un certo periodo o in altre società nello stesso momento. A questi prodotti dovrebbe essere dato il termine di CULTURA.
Nella seconda classe vi sono invece prodotti che possono essere ordinati in una scala e tali appaiono in tutte le società. A questi prodotti dovrebbe essere dato il termine di CIVILTA’.
Seguendo questa distinzione tra Cultura e Civiltà’ possiamo dire che la CULTURA è CICLICA e tutte le culture si equivalgono qualitativamente e che sia Cultura in generale che le Culture singole non sono statiche ma fluttuanti, cioè sempre in movimento. In questa concezione della Cultura si eliminano innanzitutto la scienza e tutto quello che non è ciclico; quindi la scienza e tutto quello che non è ciclico non appartenendo al campo della cultura rientrano nel campo della civiltà. Questo ultimo tipo di distinzione fu elaborato da Alfred Weber.
Secondo MalIver appartengono alla sfera della CIVILTA’ tutti gli oggetti che hanno caratteristiche UTILITARIE, mentre appartengono alla sfera della CULTURA tutte quelle espressioni che rispondono a necessità interiori dell’uomo e non esteriori.

- Dalla storia della cultura si desume che la sua funzione sta nel designare e specificare un piano della realtà sociale che per quanto sia strettamente intrecciato con il sistema sociale e con i sistemi intrapsichici, appare comunque distinto da essi nella coscienza sociale per riuscire a compiere l’analisi scientifica. Tuttavia si incontrano definizioni che ampliano il concetto di cultura fino a comprendere i comportamenti istituzionali e le collettività con determinate culture. In tal modo la cultura diventa sinonimo di società. All’estremo opposto troviamo definizioni che fanno rientrare nella cultura soltanto prodotti puri dell’intelletto umano quali il linguaggio, la morale, la filosofia.

- Secondo Marx e Engels la distinzione tra il piano dei rapporti sociali o sistema sociale (struttura) e il piano dei prodotti dell’attività razionale, creativa, espressiva, valutativa, ludica degli uomini (sovrastruttura) è molto netto e il secondo piano è subordinato al primo. Per Marx il prodotto dell’uomo è divenuto da lui indipendente e gli si contrappone nella formazione economico – sociale capitalista come forza ostile anche se è in costante trasformazione e rielaborazione. La conseguenza di questo ragionamento comporta che la sfera della cultura comprende i modi di produzione e le formazioni economiche – sociali.

La cultura oltre ad essere il patrimonio intellettuale e materiale dell’umanità è anche:
a. Il prodotto storico in una data società determinatosi attraverso sviluppi interni e aggregazioni tramite processi di importazione culturale e di acculturazione.
b. Ogni cultura è formata da molti elementi ideologici e materiali che anche quando sono tra di loro integrati sono di origine eterogenea in quanto provengono da altre società e culture remote nel tempo e nello spazio.
c. Il volume totale della cultura che una generazione o un individuo ha a disposizione è enormemente superiore a quello prodotto da essa. Il contributo di ciascuna generazione contribuisce a far crescere il volume totale della cultura: più lentamente nelle arti, più velocemente nella scienza.
d. Tutti gli elementi immateriali della Cultura (valori, simboli, norme, linguaggi) sono appresi dall’uomo sulla base della struttura biologica e fisiologica.
e. Ogni essere umano fin dalla nascita può apprendere la maggior parte degli elementi di tutte le culture; con il passar del tempo la possibilità di apprendimento si riduce drasticamente; l’individuo può apprendere solo una minima parte della cultura filosofica, religiosa o letteraria accumulata dal passato.

Se si accoglie la distinzione tra Cultura Materiale e Cultura Immateriale è solo il SIGNIFICATO attribuito ad un oggetto che fa di esso un elemento della Cultura e non l’oggetto. Questo tipo di concezione della cultura va incrociata con la dimensione SOSTITUTIVITA’/NON SOSTITUTIVITA’. In questo caso la scienza e la tecnologia sono SOSTITUTIVI come lo sono i mezzi di produzione, di trasporto, di comunicazione; sono NON SOSTITUTIVI, invece, la maggior parte delle lingue, delle espressioni artistiche, dei sistemi religiosi e filosofici. In questo modo possiamo distinguere la cultura in quattro classi:
- Cultura materiale/sostitutiva
- Cultura materiale/non sostitutiva
- Cultura non materiale/sostitutiva
- Cultura non materiale/non sostitutiva

Le prime classificazioni della cultura materiale nel corso dell’Ottocento rispondevano ad esigenze museografiche e tutt’ora si riflettono nei manuali di antropologia sociale e culturale anglosassone. Mentre la cultura non materiale ha trovato una trasmissione precostituita nella tradizionale ripartizione delle discipline umanistiche:
• letteratura e arte
• diritto e filosofia
• scienze e religione

Dal punto di vista dell’azione sociale ogni classificazione di elementi culturali non deve prescindere dalla funzione che essi hanno nel soddisfare bisogni umani sia primari che emergenti:
o I bisogni cognitivi sono la necessità di stabilire identità e differenze tra segni; sono soddisfatti da definizioni culturali di vero o falso, da sistemi logici, da tecniche di indagine intellettuale ed empiriche.
o Il bisogno di dare una valenza affettiva positiva o negativa a qualsiasi oggetto.
o La regolazione dei rapporti interpersonali e intercollettivi richiede norme relazionali e regolative.
o L’espressione di stati d’animo per non risultare disgregante deve essere filtrata da appositi codici.
o La manipolazione di materiali, oggetti e segni richiede TECNICHE appropriate.

Questi elementi della cultura sono ordinati in una gerarchia dove sopra i modelli di comportamento ci sono le norme relazionali e regolative e sopra a queste ci sono i VALORI. Si può parlare di integrazione degli elementi della cultura quando i loro significati, la loro logica, i loro modelli e le pratiche che propongono sono tra di loro coerenti. Ma si può anche parlare di integrazione della cultura e comportamento se c’è coerenza tra ciò che la cultura prescrive e il comportamento dei soggetti. La completa integrazione tra culture, comportamento e motivazione è detta ISTITUZIONALIZZAZIONE.
Ogni DEVIANZA dalle norme di comportamento, di azione e di pensiero che la cultura prescrive è oggetto di controllo sociale.

Si definisce SUBCULTURA la cultura specifica di un gruppo, una classe, una professione, un segmento della società.

La cultura IMPLICITA è la cultura appresa durante la socializzazione primaria senza intenzione consapevole (ad es. l’apprendimento della lingua natia). La cultura ESPLICITA è quella cultura che si apprende in modo deliberato (ad es. l’apprendimento delle lingue straniere).

Possiamo riconoscere alcuni filoni in relazione alle interpretazioni relative alle origini, all’evoluzione, e al mutamento della cultura o a parti di essa.
I. Un primo filone porta la dinamica della cultura ad una tendenza evolutiva naturale. L’agente primario di questo tipo di evoluzione culturale è la TECNICA o la TECNOLOGIA, i requisiti dell’organizzazione sociale e i fattori ideali. Questo filone si è sviluppato nell’illuminismo e nelle teorie del progresso dell’Ottocento.
II. Una variante dell’evoluzionismo culturale è l’indirizzo CULTOROLOGICO che porta all’estremo l’autonomia della cultura. In questo caso gli elementi della cultura sono determinati solo da altri elementi culturali e non possono essere spiegati con fenomeni della sfera psicologica e sociale.
III. In opposizione all’evoluzionismo culturale troviamo un filone storicistico per il quale ogni elemento della cultura rappresenta un fenomeno contingente e irripetibile, prodotto da contatti con altre culture. Si definisce ACCULTURAZIONE e il suo maggior rappresentante è stato Franz Boas.
IV. Per gli autori con orientamenti al materialismo storico, la cultura è l’espressione della coscienza sociale dei fondamentali rapporti sociali determinati dall’epoca storica, dai rapporti di produzione, dalle tensioni, dalle contraddizioni e dall’agire delle classi sociali e quindi dalle loro relative situazioni di privilegio o di sfruttamento.
V. Gli autori che si orientano all’interpretazione ciclica della cultura, la dinamica culturale risponde a una instabilità intrinseca in tutti i sistemi e superstizioni culturali che li spinge a passare ad un determinato stato a un altro in una fluttuazione senza fine.
VI. Un altro filone detto FUNZIONALISMO riporta la cultura materiale e non materiale alla necessità di soddisfare socialmente i bisogni biologici e fisiologici in presenza di un determinato ambiente fisico e umano.
VII. Un altro filone detto PSICOLOGISTICO sostiene che le definizioni cognitive, affettive, espressive, i modelli di comportamento, le idee artistiche, religiose e scientifiche sono risposte sempre più complesse allo sviluppo delle relazioni sociali, al funzionamento della personalità e al controllo dell’angoscia.

La cultura dà significato, orientamento, contenuto, efficacia alla quasi totalità delle azioni umane, ma è anche il maggior fattore di regolazione e di controllo di ogni tipo di comportamento.
Grazie all’apporto della PSICOANALISI che ha posto come la cultura abbia per presupposto la mancata soddisfazione, la repressione di potenti pulsioni della personalità dell’individuo. La cultura, secondo questa interpretazione è necessariamente un fattore di repressione che nella società contemporanea è stata aggiunta una quantità elevatissima di REPRESSIONE ADDIZIONALE imposta dai poteri costituiti per difendere i propri interessi. Questa repressione addizionale è così diversa e incalcolabile nei vari settori della società che è quasi impossibile a combattersi.

domenica 4 luglio 2010

La prima guerra "mondiale" africana

INTRODUZIONE
Questo saggio tratta l’argomento del rapporto tra giovani e guerra nella provincia del Nord-Kivu nel Congo e di come la marginalità e l’alienazione dei giovani siano le cause principali delle guerre africane.
Il saggio fa riferimento al libro “Generazione kalashniko” scritto dal dott. Luca Jourdan che ha condotto una ricerca antropologica proprio nel Nord-Kivu che è una delle undici province della Repubblica Democratica del Congo e confina con l’Uganda e il Ruanda. Il Nord-Kivu prende il nome dal lago Kivu.
Dal 1996 la Repubblica Democratica del Congo è sprofondata in una guerra atroce e di difficile soluzione i cui esiti sono ancora incerti. I morti in questa guerra supererebbero i cinque milioni.
Attraverso un approccio storico-antropologico il dott. Luca Jourdan si interroga sulle radici e sulle molteplici dimensioni del conflitto, focalizzando l’attenzione sulla sua estrema complessità.
La predazione e il traffico delle risorse naturali come l’oro, il colton, utilizzato nei Personal Computer portatili e nei telefoni cellulari, i diamanti e il legname alimentano un’economia di guerra con ramificazioni in tutto il mondo. A questo va sommato il collasso dello Stato insieme ad una profonda crisi economica e sociale che colpisce in particolare le nuove generazioni, sempre più depauperate e sempre più marginalizzate. Quindi una della ragioni di questa guerra è proprio la crisi giovanile.
L’autore del saggio si concentra in particolare sui “bambini soldato” e sui giovani combattenti che hanno militato nei numerosi eserciti e gruppi armati del Congo. Infatti il saggio fa riferimento al rapporto con un giovane militare, un ventiquattrenne di nome Eric.
Nel contesto del Congo, dove la scuola rappresenta un costo eccessivo per le famiglie e le opportunità di lavoro sono limitate, l’arruolamento dei giovani rappresenta una possibilità, forse l’unica, di mobilità sociale e un’alternativa ad una condizione di povertà e di marginalità.
La violenza diffusa in Congo non regola soltanto la sfera politica ed economica, ma si insinua nei rapporti sociali più intimi, al punto che i bambini trovano più protettive le milizie armate che le proprie famiglie.
Diventare soldati significa anche poter accedere alla modernità nei suoi aspetti materiali e simbolici, allo scopo di sottrarsi ad una condizione di esclusione e passività.
Robert Kaplan nel suo libro “The coming anarchy” sostiene che le guerre del post-guerra fredda non saranno più di ordine ideologico, ma saranno guerre culturali e storiche. Le nuove tensioni, come l’aumento della popolazione, l’urbanizzazione esasperata e l’esaurimento delle risorse stanno minando alla radice i fragili governi di tutto il mondo.
Il mondo, secondo Kaplan, sarà diviso lungo linee socioeconomiche. Le nazioni industrializzate, ricche e in salute, costituiranno un blocco. Le nazioni povere in via di sviluppo ne costituiranno un altro. La principale linea di divisione cadrà tra queste due. Che lo vogliano o meno, le agiate nazioni del Nord non riusciranno ad estraniarsi dai problemi del Sud.
Profughi, disastri ambientali, il contagio di epidemie, la criminalità e la corruzione, lo sfaldamento degli Stati porranno minacce anche alle nazioni più avanzate del mondo.

CONSIDERAZIONI GENERALI
Va tenuto presente che con il termine Congo si fa riferimento alla Repubblica Democratica del Congo, l’ex colonia belga che il maresciallo Mobuto aveva ribattezzato Zaire, nome in uso sino alla fine della dittatura nel 1997. Mentre con Congo-Brazzaville si intende la Repubblica del Congo, ex-colonia francese.
Ci sono importanti ragioni per includere la dimensione storica nella breve analisi che sto compiendo. La prima è quella della scarsa attenzione dei mass-media a questa guerra, definita la “Prima guerra mondiale africana”. La seconda ragione è la tendenza della stampa internazionale e quindi dell’opinione pubblica, ad interpretare le guerre africane con stereotipi come quelli delle “guerre tribali” o “guerre primitive”.
Quindi ancora una volta prevale nella stampa internazionale quello che viene definito l’etnocentrismo, cioè leggere le pratiche degli altri partendo esclusivamente dal nostro schema concettuale che abbiamo degli altri.
In questo caso, nel mondo occidentale ci sono state le “guerre mondiali”, in Africa ci sono solo guerre tribali. Ovviamente questo approccio è sbagliato perché parte dal nostro etnocentrismo e non invece come dovrebbe, dal relativismo concettuale che non prevede giudizi etici.
Ma anche la categoria della “guerra primitiva” mi fa venire in mente che ancora una volta prevale lo schema dell’evoluzionismo dove noi “moderni” facciamo “guerre moderne” con livelli di tecnologia molto elevati e gli africani, cioè gli “altri” fanno “guerre primitive” combattute al massimo con i kalashnikov o macete.
I conflitti africani sono stati considerati, in modo errato, come un processo di riprimitivizzazione della società, senza tenere presente la complessità che sta dietro questi conflitti.
Una complessità che intreccia la dimensione locale del conflitto con dinamiche più ampie a livello sia regionale che internazionale.
Questo ci permetterebbe di comprendere i forti interessi economici che stanno dietro sia ai leaders locali che alle multinazionali che finanziano i gruppi militari.
Ma ancora una volta, si presenta lo schema evoluzionista dove “noi” siamo “complessi” e “loro” sono “semplici”.

BREVE STORIA DEL CONFLITTO CONGOLESE
Il conflitto in Congo ha visto ben otto Stati africani coinvolti e intervenuti militarmente: Ruanda, Uganda, Burundi, Angola, Zimbabwe, Chad, Etiopa ed Eritre. Solo tra il 1998 e il 2002, nelle sole regioni del Nord-Kivu e del Sud-Kivu sono morte circa 3.300.000 persone. Sono stime che potrebbero essere approssimate, ma anche se volessimo considerarle eccessive e quindi dimezzarle otterremmo comunque una cifra di 1.650.000 morti. Uno dei conflitti mondiali degli ultimi decenni più mortiferi e catastrofici degli ultimi decenni dalla guerra in Vietnam.
Il conflitto in Congo va contestualizzato storicamente:
 1994 – Genocidio ruandese, da qui parte la crisi congolese.
 Inizio anni ’90 – Il RPF – Rwandam Patriotic Front, movimento armato costituito da profughi tutsi in Uganda, attacca dal Nord il Ruanda il cui presidente è Habyarimana sostenuto militarmente dalla Francia.
 Aprile 1994 l’aereo presidenziale ruandese viene abbattuto: Habyarimana morì nell’attentato.
 Questo fatto segnò l’inizio del genocidio in Ruanda.
 Il giorno dopo l’attentato le milizie filo hutu iniziarono a sterminare la popolazione tutsi e gli hutu moderati. In meno di quattro mesi furono trucidati a colpi di macete ottocentomila persone.
 In quei mesi l’RPF sfondò a Nord del Ruanda raggiungendo la capitale Kigli. 1.500.000 hutu abbandonarono il Ruanda e si diressero nel Congo per paura di subire ritorsioni dai guerriglieri tutsi. Centinaia di migliaia di profughi hutu tra cui le milizie responsabili del genocidio, passarono la frontiera, destabilizzando definitivamente il Congo.
 I profughi vennero accolti nei campi allestiti per loro nei dintorni di Goma e Bukavu, capoluoghi rispettivamente del Nord-Kivu e del Sud-Kivu.
 In quei campi le milizie responsabili dei genocidi commessi, le Interahamwe, si riorganizzarono assumendo il controllo degli aiuti umanitari.
 L’esercito congolese sotto la guida del dittatore Mobutu diede il suo appoggio alle milizie ruandesi rifornendole di armi.
 Le Interahamwe iniziarono ad attaccare nuovamente il Ruanda facendo delle incursioni dai campi profughi all’interno del paese. Inoltre iniziarono perseguitare la popolazione tutsi che da tempo si era insediata nelle regioni orietali del Congo.
 Paul Kayame, comandante dell’RPF, divenuto primo ministro del Ruanda fece richiesta alle Nazioni Unite di chiudere i campi profughi del kivu dal quale partivano gli attacchi verso il suo paese.
 Agosto 1996, di fronte al temporeggiamento dell’ONU, l’esercito nazionale ruandese formato essenzialmente da ex-guerriglieri dell’RPF, attaccò il campo profughi di Muyunga nei pressi di Goma. Circa 600.000 profughi furono obbligati a rientrare nel Ruanda, altri fuggirono verso Kisangani in direzione della foresta al centro del Congo.
 Paul Kagame in accordo con il Presidente ugandese Yoweri Museveni diede vita ad un movimento ribelle congolese l’Alliance des Forces Dèmocratiques pour la Libèration du Congo/Zaire (AFDL) con l’obiettivo di porre fine al governo dittatoriale di Mobutu. Il comando del movimento fu affidato, con il sostegno del Ruanda e dell’Uganda, a Laurent – Dèsirè Kabila, un vecchio guerrigliero che aveva combattuto al fianco di Che Guevara.
 L’esercito Mobutu non fu in grado di reagire e nel giro di un anno le truppe di Kabila giunsero nella capitale.
 Durante l’avanzata delle truppe AFDL furono trucidate migliaia di profughi hutu.
 Maggio 1997 Mobutu abbandona la capitale e si rifugia in Marocco. Poco dopo morì.
 Le truppe dell’AFDL occuparono la capitale sfilando tra la gente esultante alla vista dei “bambini soldato”, i Kadogo.
 17 Maggio 1997, Kabila con un discorso alla radio, si autoproclama presidente della Repubblica Democratica del Congo. Il sodalizio tra Kabila e i governi ruandese e ugandese ebbe vita breve.
 28 luglio 1998 Kabile espulse tutti i ruandesi presenti sul territorio congolese.
 Quattro giorni dopo scoppiò una ribellione nell’Est del Congo: un movimento armato emergeva, il Rassemblement Congolois puor la Démocratie (RCD) emergeva sulla scena politico-militare congolese, nuovamente sostenuto dal Ruanda e dall’Uganda, che erano stati alleati prima di Kabila.
 Novembre 1998 ancora un movimento ribelle: Mouvement de Libération du Congo prese piede sostenuto dall’esercito ugandese.
 L’RCD subì continue divisioni interne portando alla creazione di numerosi movimenti ribelli armati in lotta tra di loro.
 Nelle regioni rurali del Kivu prese piede la ribellione dei Mayi-Mayi fondamentalmente anti-ruandese, in particolare anti-tutsi.
 Aprile 2003 sotto l’egida ONU nasce un governo di transizione: presidenza a Kabila e quattro vicepresidenze affidate rispettivamente ai rappresentanti dei due movimenti ribelli principali, un esponente della società civile ed una ad un membro del governo Kinshasa.
 Nonostante l’accordo gli scontri tra le diverse fazioni in lotta non sono cessate.
 L’elezioni che si dovevano tenere nel 2005 sono state rinviate.
 Il conflitto sembra di aver perso di intensità e il Congo sembra avviarsi ad una riappacificazione.

RELAZIONI ANTROPOLOGICHE
Vorrei qui sottolineare alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito da un punto di vista antropologico.
Prendiamo in esame i guerriglieri Maya-Maya che significa Acqua-acqua, praticano un rituale che consiste nel cospargere i combattenti con acqua speciale, preparata secondo procedure segrete, allo scopo di renderle immuni dai proiettili dei nemici.
Il rito come tutti i riti crea coesione, così come il rito dell’immersione nell’acqua di Lourdes nella religione cristiana-cattolica. Anche in questo caso, dopo la pratica della benedizione e quindi del successivo bagno in acqua, si ha una forte coesione tra i fedeli.
Tutti e due i rituali sono dei dispositivi di potere che vengono soggettivati nell’individuo. Più la finzione è forte più il legame tra i partecipanti al rito è profondo.
Ma il rito dei Mayi-mayi può essere interpretato anche come un rito di passaggio da una condizione di “civile” ad una di “combattente” invincibile.
Anche altri riti di passaggio che vengono praticati in Africa come quello della circoncisione si passa da una condizione di “bambino” ad una condizione di “adulto”. Ad esempio quello del noutu dove i partecipanti che sono circoncisi vivono una trasformazione del loro corpo. Il noutu è un rito di passaggio contenente la circoncisione che trasporta il ragazzo da uno status ad un altro, ma soprattutto lo trasforma.
La trasformazione dopo il rito riguarda soprattutto l’ambiente sociale circostante, come se il taglio oltre al prepuzio del pene avviene sull’ambiente sociale.
Si incide sul corpo del bambino per modellare l’ambiente sociale circostante e l’effetto è la trasformazione dei bambini stessi in quanto, così come sosteneva Suzette Heald nel 1982 osservando il rituale di iniziazione dei Gisu in Uganda, “l’uomo si “fa”, si costruisce nel momento in cui rimodella i propri ambienti”.

martedì 8 giugno 2010

"IL CONFLITTO NEGATO" libro scritto da Luciano Vacca



Prefazione di Jimi Dini - Presentazione di Morpheus - Premessa - 1. La Costituzione un pezzo di carta - 2. Discorso di Bob Kennedy sullo sviluppo economico del 1968 - 3. Lo sviluppo: un mito del mondo occidentale - 4. La scuola a casa: è obbligatoria l’istruzione non la scuola - 5. Libertà, potere e società - 6. L’iceberg del conflitto - 7. L’epoca della diffidenza - 8. Il supermercato della democrazia televisiva - 9. Le pretese democratiche: l’”altro” è inumano - 10. La società devitalizzata - 11. La qualità che conta: non avere nessuna qualità - 12. L’umano è fragilità - 13. La felicità nell’epoca del modernismo - 14. Siamo tutti agenti segreti - 15. Il modernismo educatore dell’anima divisa - 16. Le leggi contro natura delle megalopoli urbane - 17. La pratica del contropotere - 18. Sarà pace per sempre? - 19. Il dominio si fonda sull’eliminazione del conflitto - 20. Il biopotere dell’impero post-moderno - 21. Il terrorismo: solo uno spauracchio - 22. Trasparenza securitaria - 23. Politica come religione - 24. E’ la repressione che trasforma il conflitto in scontro - 25. Grandi o piccoli cambiamenti? - 26. In ogni situazione c’è conflitto - 27. L’essenza del conflitto - 28. Formattazione del conflitto - 29. Differenza tra scontro e conflitto - 30. La crisi è l’occasione per riprendersi la vita - 31. L’identità personale si fonda sul conflitto - 32. La crisi è nel negare il conflitto - 33. Il corpo come macchina - 34. Livelli di conoscenza - 35. Cambiamenti in corso - 36. Inutili speranze - 37. Avvenire o divenire - 38. La formazione che non serve - 39. Libertà e responsabilità - 40. Il controllo del non agito - 41. Dallo stato dei diritti allo stato dei privilegi - 42. Soluzione finale - 43. Puttane ed intellettuali - 44. Scusate … siamo razzisti - 45. Potere imperiale - 45.a. La produzione della vita - 45.b. Società e comunicazione - Conclusioni - Bibliografia - Note

per chi volesse acquistarlo inviare mail a lucianovacca@hotmail.com e specificare se in formato cartaceo o elettronico oppure telefonando al numero 3292145943

mercoledì 2 giugno 2010

Festa della Repubblica: tramonto o riscatto della Democrazia.

Così come sta accadendo per i festeggiamenti del centocinquantesimo anniversario della nascita dell’Unità d’Italia, così come per i valori fondanti su cui poggia la nostra società quali quelli della Resistenza, la lotta dell’antifascismo, la Costituzione, così è accaduto per la festa della Repubblica: da una parte parate militari ufficiali lontane che si perdono nell’astrazione a cui partecipano solo i vip della politica e dall’altra un popolo a cui si fa di tutto per sciogliere qualsiasi legame alla sua storia dedicandolo esclusivamente ad un consumismo sfrenato e volgare.
Provate ad andare in Francia durante la festa che ricorda la presa della Bastiglia e vi accorgerete della differenza di come quel popolo vive la propria storia e come quell’episodio lontano nel tempo datato il 14 luglio del 1789 quando durante la rivoluzione francese a Parigi fu catturata la prigione- fortezza della Bastiglia, oggi è ancora una icona dei francesi con un enorme significato simbolico e mobilitante.
Oppure se volete essere più trasgressivi e fare un viaggetto più lontano, provate ad essere negli Stati Uniti d’America il 4 Luglio e come quella data viene festeggiata da tutti gli americani perché rappresenta la firma della Dichiarazione d’Indipendenza. Per gli americani non è un semplice giorno di festa, non si tratta di “un giorno in più di vacanza” come accade da noi. E’ un giorno che ogni americano è orgoglioso di celebrare. Infatti si dice “celebrare” e non “festeggiare” il 4 luglio, in quanto il verbo “celebrare” porta con se tutta una serie di significati profondi come quello della sacralità.
In Italia, invece, c’è una classe dirigente e non solo quella nazionale ma quella diffusa su tutta la penisola in modo capillare, rappresentata dai cosiddetti notabili locali che in gran parte esercitano professioni intellettuali che hanno fatto di tutto per far dimenticare, per far perdere la memoria storica con un unico obiettivo: quello di perpetuare all’infinito il proprio potere e posizione sociale che in sintesi significa “cambiare tutto per non cambiare nulla, così tutto rimane come prima” creando attraverso lo show, lo spettacolo che si ripete quotidianamente dallo star system dove gli spettatori non diventano mai protagonisti, ma rimangono passivi ad osservare lo svolgimento di una vita non reale.
Ma i nodi della storia vengono sempre al pettine e quindi è bene ricordare cosa è avvenuto il 2 giugno del 1946. Il 2 e 3 giugno del 1946 si tenne il referendum istituzionale indetto a suffragio universale con il quale gli italiani venivano chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di governo, monarchia o repubblica, dare al Paese, in seguito alla caduta del fascismo. Ebbene sì, dopo ottantacinque anni il popolo italiano decise che il Regno d’Italia diventava una Repubblica e i monarchi di casa Savoia veniva esiliati.
Il 2 giugno è una festa della nazione italiana. Sì nazione, proprio così “nazione”! Si fa tanto parlare sull’identità nazionale del popolo italiano e poi nelle scuole la storia dal ‘900 in poi diventa un qualcosa di nebuloso, di poco chiaro. Mentre studiando proprio la storia contemporanea si chiariscono bene le responsabilità di chi portò alla disfatta militare e morale dell’Italia di allora e le cause del decadimento di oggi.
Quale altra celebrazione potrebbe rappresentare meglio l’identità nazionale del popolo italiano? E’ proprio da celebrazioni come questa e dalle riflessioni che ne traiamo potremo avviare un riscatto morale del nostro Paese.
O facciamo questa riflessione oppure il rischio, in parte già in atto, sarà quello della degenerazione di staterelli regionali e infeudatati da questo o quel politico di turno e non più lo stato nazionale unitario.
Potremo chiamarci probabilmente popolo italico ma certamente non più nazione italiana!

mercoledì 19 maggio 2010

CONCERTO ROCK A QUINTO ROMANO



CONCERTO ROCK A QUINTO ROMANO
SABATO 22 MAGGIO PRESSO LA CORTE DI PIAZZA MADONNA DELLA PROVVIDENZA, N° 1 DALLE ORE 16,
ORGANIZZATO DAL CENTRO SERVIZI IMMATERIALI - PROGETTO CRISTALLO DELLA COOPERATIVA EDIFICATRICE FERRUCCIO DEGRADI E DAL MOVIMENTO CRISTIANI LAVORATORI

domenica 16 maggio 2010

Corruttore e corrotto, abbraccio mortale

Si è creato un groviglio tra corrotti e corruttori dal quali gli italiani difficilmente ne usciranno.
Se continuiamo ad utilizzare la categoria della corruzione non riusciamo a comprendere fino in fondo quello che è accaduto in questi ultimi venti, trenta anni in tutti i settori della società. Per comprendere e forse per iniziare ad individuare della soluzioni bisogna utilizzare categorie di interpretazione quali quella della manipolazione.
Quando parliamo di corruzione l’associamo a quella del reato commesso. Un reato commesso contravvenendo a divieti di legge. La corruzione non viene letta come un reato contro la società, ma come qualcosa commesso superando i limiti consentiti dalla legge.
Ma se la corruzione la leggiamo come manipolazione la cosa assume maggiore complessità e drammaticità.
Il corruttore è un manipolatore. Anzi il manipolatore è sempre un corruttore, perché appunto corrompere gli altri ai suoi fini che non dichiara; i suoi fini vengono tenuti nascosti. E i suoi fini, quelli del manipolatore, sono anche molto semplici: ad esempio quello della sopravvivenza quotidiana.
Quindi si è creata una situazione perversa dove il manipolato è a sua volta manipolatore di altri manipolati. Una catena senza interruzione dove tutti sono dentro ad una orgia perversa di legami dove il manipolatore e il manipolato si tengono insieme senza mai dichiararsi. La domanda che dobbiamo porci è perché stanno insieme, qual' è il loro “scambio”?
L’umanità ha sempre praticato il gioco della manipolazione, esso era ed è dentro il sistema di potere. Ma mai come nella società industriale ha avuto una tale diffusione. Prima dell’industrializzazione la manipolazione era riservata ai cortigiani con delle estensioni alle corporazioni di mestiere.
Solo con l’industrializzazione abbiamo avuto questo fenomeno che si è diffuso in modo ancora più subdolo ed è diventato di massa con il consumismo. Poiché per consumare bisogna tenere il consumatore in un perenne stato di insoddisfazione del desiderio, la manipolazione è costante e diffusa ovunque. Il popolo italiano è uno dei popoli che consuma di più prodotti effimeri, superflui e al quale il sistema gli deve creare una grande illusione; sembra sempre che debba accadere qualcosa che non accade mai. Tutto viene rimandato ad una soluzione finale che mai verrà, ma comunque intanto da una parte crea l’illusione e dall’altro l’astrazione dalla realtà.
Una realtà invece, che molto semplicemente e duramente ha un solo meccanismo imperante: produrre, consumare e crepare!
Questo imperativo è alimentato e doppato dalla corruzione e la manipolazione serve a non interrompere il meccanismo. Mai.

domenica 2 maggio 2010

Primo maggio una festa religiosa

Nel corso della storia il primo maggio ha avuto significati diversi, ma quello che lo ha lungamente contraddistinto era la festa del mondo del lavoro che per un giorno, solo per un giorno, si liberava dalla costrizione del lavoro.
I regimi comunisti hanno reso il primo maggio una festa liturgica dove sfilavano inquadrati i lavoratori sotto gli sguardi attenti dei loro capi politici che li salutavano da lontano sopra i palchi.
In questi regimi, gli uomini e le donne, erano costretti a lavorare: nelle costituzioni socialiste più che il diritto al lavoro c’era l’obbligo del lavoro presentato con una buona dose di retorica ideologica e il primo maggio bisognava anche dimostrare che si era contenti di lavorare. Questa solo in apparenza, perché poi si è scoperto quanto bassi erano i livelli produttivi, dopo il boom dell’industria pesante e il fallimento completo di quei sistemi economici che non erano assolutamente mai passati a forme di proprietà collettiva anzi la nomenclatura al potere teneva saldamente nelle proprie mani, con la gestione dello Stato, i mezzi di produzione.
Oggi, in Italia, il primo maggio festeggiamo un lavoro che c’è sempre di meno e che ne vorremo di più, oppure ne festeggiamo ancora il senso originario: liberarsi almeno per un giorno dalle catene di chi ci obbliga a lavorare?
Anche la ritualità ha trasformato il significato del primo maggio. Non la ritualità in sé, ma il fatto che da manifestazione di piazza si è passati al mega-concerto musicale organizzato dai sindacati ne ha trasformato il significato: è un giorno di festa dei lavoratori, di chi il lavoro non c’è l’ha e vuole lavorare oppure è una festa di liberazione dal lavoro? Non si capisce più. Certo la musica è un grande e potente veicolo di comunicazione, ma qual è il messaggio che veicola? E qui la risposta, come prima, è un buio totale oppure ognuno dà la propria risposta.
Ma anche il metodo trasmette significato. Tenere mega-concerti distanzia ancora di più chi è sul palco da chi è sotto il palco. Per non parlare poi di quando salgono sul palco tre attempati signori che del lavoro che fanno quelli che stanno sotto il palco lo avranno letto su qualche libro, la distanza e il senso di estraneità aumenta ancora di più.
Ed aumenta ancora di più questo senso di estraneità il giorno dopo l’evento. Il giorno dopo ci si sente soli e impotenti più di prima.
Ma come è possibile pensare che incontrarsi in migliaia e migliaia di sconosciuti si possano stabilire relazioni significative da determinare un cambiamento? Ma infatti gli organizzatori di questi eventi non lo pensano, quello a cui sono interessati è di veicolare un messaggio che diventa sempre più astratto perdendosi in una sorta di religiosità come la fede in una divinità superiore. Così come facevano i capi dei regimi comunisti: distanza tra chi del lavoro ne parla e chi il lavoro lo fa per davvero.
La differenza con gli anni ’50 sta nel fatto che sempre maggiore è la consapevolezza che il lavoro per alcuni è possibile sceglierlo e determinarlo e non importa che sia flessibile o geograficamente lontano, mentre per molti altri diventa un obbligo, una costrizione. Per alcuni non si tratta di lavoro ma di mestiere ( il lavoro è industriale, il mestiere è artigianale) che attraverso il quale si realizzano e affermano a se stessi e agli altri che esistono, che hanno qualcosa da “dare” al mondo, per molti altri invece il lavoro rappresenta la totale spersonalizzazione di se stessi e serve solo per pagare le bollette, l’affitto, le cambiali, gli alimenti ai figli, ma ne farebbero volentieri a meno.
Cresce anche la coscienza che esiste un blocco sociale e di potere che fa quadrato intorno all’idea che il lavoro “manca”, che si debbano fare solo alcuni lavori, perché altri sono riservati ai gruppi di “comando” e ai loro figli o parenti. E’ di questo che dobbiamo discutere in Italia, ed è su questo che dobbiamo aprire per davvero il conflitto: tra chi tiene ristretto il campo del lavoro “bello” per se e chi invece è costretto a fare qualsiasi lavoro pur di mantenersi.

lunedì 26 aprile 2010

Il risorto Risorgimento Italiano

Nell’articolo di Monica Raucci su “Il Fatto Quotidiano” di Venerdì 23 aprile 2010 ho scoperto con mio grande rammarico che Carlo Azeglio Ciampi si è dimesso da Presidente del Comitato dei Garanti per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Dopo le dimissioni di Ciampi sono seguite quelle di Dacia Maraini, Ugo Gregoretti e altri.
Proprio in questi mesi in preparazione di un esame universitario sto studiando il Risorgimento e mai come in questo momento della mia vita ho approfondito così quella fase storica e non possono non fare delle riflessioni sulla politica attuale.
Il nostro governo non solo sbaglia perché non finanzia il programma delle iniziative in ricordo del Risorgimento, ma il problema è di riportare temi che allora come oggi sono ancora aperto sul terreno politico.
Quindi non solo i riti celebrativi, che hanno sicuramente un grande peso nell’immaginario collettivo di un popolo, ma è necessario riaprire il discorso sull’Unità d’Italia e sulle ragioni per cui il nostro popolo mai da allora si è diviso, nemmeno quando alla fine della Seconda Guerra Mondiale nell’Italia del nord c’era la Repubblica di Salò da una parte e dall’altra i gruppi partigiani e nell’Italia del sud c’era il governo Badoglio con gli alleati americani. Nessuno si sognò di tenere l’Italia divisa, anzi costituirono immediatamente dopo il Comitato di Liberazione Nazionale presenti tutti i partiti che uscivano dalla clandestinità con autorità di governo su tutto il territorio nazionale.
Alcuni studiosi sostengono che il Risorgimento nel nostro paese non sia ancora concluso in quanto ci sono temi come l’unità politica ed istituzionale dell’Italia che sono tuttora aperti e messi in discussione da organizzazioni politiche come la Lega che sostiene tesi separazioniste ed antiunitarie.
Ma non possiamo neanche banalmente sostenere come fanno alcuni che il Risorgimento sia stato la semplice estensione da parte del Piemonte e del Regno Sabaudo degli altri territori che erano sotto il dominio di altri Sati come quello del Papa o dei Borboni. Non fu così.
Non fu così, nè per Camillo Benso Cavour che rappresentava l’ala moderata liberale, nè per Giuseppe Mazzini o Giuseppe Garibaldi che rappresentavano l’ala insurrezionalista.
Sia gli uni che gli altri erano fermamente convinti nell’Unità dell’Italia al di là delle diverse posizioni politiche.
Ma allora come oggi, sono rimaste aperte questioni che riguardano l’intera nazione come la questione meridionale e di come si è determinata e trasformata la proprietà privata in quest’area del Paese, affrontata negli anni passati con spessore culturale ma oggi sottaciuta e strumentalizzata dai partiti politici.
Allora come oggi è aperta la questione di come si è affermata alla guida dell’Italia la classe dirigente. Infatti, se confrontiamo i dati sulle professioni emergenti del 1860/61 in poi, risultano ancora importanti professioni come l’avvocato, il magistrato, il notaio, il giornalista, il medico, le quali continuano ad essere ben rappresentate dal sistema politico. Mentre la piccola e media imprenditoria come altre professioni intellettuali sono per lo più inesistenti e ininfluenti sulla scena politica nazionale.
Quindi credo che se vogliamo ripensare alla storia d’Italia, alle lezioni morali che il Risorgimento affidò ai posteri non possiamo non ripensare a come la borghesia italiana si è affermata nel nostro paese e alle differenze con altri paesi come la Francia e la Germania.
La nostra borghesia non è mai stata né intraprendente né imprenditrice di se stessa, ma è stata in gran parte, salvo qualche rara eccezione, parassitaria o al massimo assistita con uno scarso senso della responsabilità sociale e sviluppando anche nelle classi popolari uno scarso senso dello Stato.

venerdì 19 febbraio 2010

Lettera delle maestre ai bimbi rom

Mi ha particolarmente colpito questa lettera tratta da "Il fatto quotidiano" di venerdì 19 febbraio 2010

Ciao Marius, ciao Cristina, Ana, ciao a voi tutti bambini del campo di Segrate.
Voi non leggerete il nostro saluto sul giornale, perchè i vostri genitori non sanno leggere e il giornale non lo comperano. E' proprio per questo che vi hanno iscritti a scuola e che hanno continuato a mandarvi nonostante la loro vita sia difficilissima, perchè sognano un futuro in cui voi siate rispettati e possiate veder riconosciute le vostre capacità e la vostra dignità.

Vi fanno studiare perchè sognano che almeno voi possiate avere un lavoro, una casa e la fiducia degli altri. Sappiamo quanto siano stati difficili per voi questi mesi: il freddo, tantissimo, gli sgomberi continui che vi hanno costretti ogni volta a perdere tutto e a dormire all'aperto in attesa che i vostri papà ricostruissero una baracchina, sapendo che le ruspe di lì a poco l'avrebbero di nuovo distrutta insieme a tutto ciò che avete. Le vostre cartelle le abbiamo volute tenere a scuola perchè sappiate che vi aspettiamo sempre, e anche perchè non volevamo che le ruspe che tra pochi giorni raderanno al suolo le vostre casette facessero scempio del vostro lavoro, pieno di entusiasmo e di fatica. Saremo a scuola ad aspettarvi, verremo a prendervi se non potrete venire, non vi lasceremo soli, nè voi nè i vostri genitori che abbiamo imparato a stimare e ad apprezzare.

Grazie per essere nostri scolari, per averci insegnato quanta tenacia possa esserci nel voler studiare, grazie ai vostri genitori che vi hanno sempre messi al primo posto e che si sono fidati di noi. I vostri compagni ci chiederanno di voi, molti sapranno già perchè ad accompagnarvi non sarà stata la vostra mamma ma la maestra. Che spiegazione potremo dare a loro? E quali potremo dare a voi, che condividete con le vostre classi le regole, l'affetto, la giustizia, la solidarietà: come spiegheremo gli sgomberi? Non sappiamo cosa vi spiegheremo, ma di sicuro continueremo ad insegnarvi tante, tante cose, più cose che possiamo, perchè domani voi siate in grado di difendervi dall'ingiustizia, perchè i vostri figli siano trattati come bambini, non come bambimi rom, colpevoli prima ancora di essere nati. Vi insegneremo mille parole, centomila parole perchè nessuno possa più cercare di annientare chi come voi non ha voce.

Ora la vostra voce siamo noi, insieme ai tantissimi altri maestri, professori, genitori dei vostri compagni, insieme ai volontari che sono con voi da anni e a tanti amici e abitanti della nostra zona.


Le vostre maestre

Irene Gasparini, Flaviana Robbiati, Stefania Faggi, Ornella Salina